Domes – John Koethe in italiano

Cupole


1. Animali

    Modellati – intagliati, davvero, da solidi
    ceppi di legno, ramati, creme-colorati
    buoi, in Salisburgo fanno piccola mandria.
    E negli schizzi col dr. Gachet sei,
    sette pose universali le tengono i gatti.

    Miseria, ipocrisia, avidità: un topo
    che muore, un gatto, uno stormo di uccelletti
    spauriti in uniforme ne hanno i tratti.
    Formalmente eccedendo lo scopo
    della vita di un che poetico e vago

    troppo preciso per farne qualcosa
    oltre sé. Tutti questi nelle nostre vite
    giusto stanno, giustamente rappresentando
    tutto ciò che di loro ci disturba;
    ma senza parlare. Senza neppure muovere

    da come Grandville o qualche anonimo
    poster li ha cristallizzati:
    lupo sfocato, rettile oppure scimmione
    e un grande cane. I loro occhi
    fissano il nulla ma vedono quel che sfugge

    ai nostri, pur avendo noi tutto il tempo
    di vedere quel che c’è da vedere.
    E lo dicono come solo noi sappiamo:
    con un sottotono lieve, un’aria
    nella quale sei sospeso; o un grido

    rappreso come pezze di carta su tutto
    l’orribile orribile che ci tocca
    esperire. Quel sottotono che perdiamo
    da svegli, quando capiamo che siamo,
    parole, poveri animali di casa altrove.


    2. Casa estiva

      Esili schizzi di luce solare giocano
      sulle punte di onde che sembrano vele
      sospese sulla superficie della baia.
      Sopra la costa l’acqua si incircola
      dietro una riccia e rigogliosa isola;
      qui, secondo le foto, non è mossa
      né blu, ma molto più chiara.
      Scherza la luce solare, non la riflette,
      permette ai flussi argentati di gocciare
      come acqua nei lavelli di cucina.
      Iniziata gradualmente, la spiaggia
      s’arresta d’improvviso alla foresta.

      Se vista da lontano, la foresta
      sembra stregata. Ma chiusa nel suo spazio
      ha un colore verde e innocente, come se
      emergendo da un sogno diminutivo
      ci ritrovassimo di stazza umana
      toccando le foglie sopra le nostre teste.
      Perché non passammo qui le estati
      circondati e di nuovo bambini? O forse
      arrivare qui di notte, in auto, tardi
      nella vita, paradiso così vicino
      per rattristarsi. Ma non dentro questo mondo
      che tale paradiso ha infine rivelato.

      Il lichene è legato alla sua roccia
      come una mappa a questo luogo; stelle
      d’acqua; eserciti di bianchi fiori.
      Tale splendore vergine se non nel nostro
      incantamento quieto,
      forse l’effetto di un cotale naturale
      scenario con le sue attese d’estasi
      e pace, chiede infine di scordare
      ciò che lo sostiene: le foglie morte
      dell’inverno, le foglie a primavera
      che l’estate arde variamente
      e l’autunno poi raccoglie, sigilla.


      3. Cupole

        “Soddisfatto in proporzione alla verità
        intesa in immagini familiari.” Questo
        era chiaro, mentre l’altro l’ho lasciato
        nella foresta dei pini giganti.
        Perché dovetti abbandonare queste vite,
        la cui fatica era diventata
        mia. Ed era come morire: solo,
        stipato sotto una volta di stelle,
        combattendo morti a cui ero stretto
        e non vedevo cercando di trovare me.
        Era come guardare il sole ed accecarsi.

        Spaccare quella luce inerte
        come un sasso e abbeverarsi alla visione
        delle cose, come un sacco nel buio,
        pesante; risentirne molto dopo.
        Che noia quella scusa: rifiutare amore
        finché fossi vicino alla sua nascita
        in atti e parole, finché tale mostruosa
        melodia fondesse affetto e affettazione;
        la fredda, prolungata vicinanza a Dio
        era un buio scintillio sotto al cielo.

        E tuttavia volevo essere felice,
        volevo pace e innocenza, un luogo
        dove celare la paura benedicendola,
        guardandola nei visi che non capivo,
        ama o vai via. Volevo pace, e pregavo
        di trovarmi nelle mani d’amore
        e dimorare. Quindi la ferita chiusa:
        paradiso: esplodervi, e finalmente
        esausto guarire nella pena. Felice:
        un sogno eterno, una vena

        di sangue, un’entità cava
        consumata consumando, e sanguinando.
        Al ciel gli occhi vanno fissando
        il vuoto, gli angeli cantando infinite
        lodi, bambini dal sonno destando.
        E i morti sono: morti, i feriti
        quasi morti, con scampoli d’amore.
        Sotto la volta le stelle ne informano le vite
        sicché noi si sappia, si riconosca
        che vite erano, siamo e portiamo dentro noi.



        Originariamente apparsa in “La superpotenza”, 2012, ISBN 9788891027474, ilmiolibro.it (scarica qui il .pdf gratuito)

        Ora in “Strenue”, 2023, ISBN 979-8856708300, stampa indipendente con Amazon.it (scarica qui il .pdf gratuito)