Eccomi libero

Eccomi libero
schizzare o tuffarmi profondo
e riemergere pronto,
battere a mare le mani
o volare. Guardami. Anzi no,
fa’ come ti pare ma vieni,
vieni e saremo
due liberi a battere a mare le mani
o volare, tuffarci profondo
e riemergere pronti. Guardami.

Vedi, queste finestre
fanno gioco di sguardi,
mostrano poco
dei palazzi di fronte,
solo la base.
E ti pare che sia
quel che c’è da vedere.
Ma se t’abbassassi,
da spicchi di cielo nascosto
vedresti la fine, dov’è,
di alcuni, i più tozzi.
Io parto, guardami
salire e ancora salire
sul palazzo più alto,
io come l’albatro,
dove l’aria più fresca
mi riporta alla vita
rischiarando la voce.

Senti,
a me non frega nulla
che tu non m’ami,
anzi,
mi rende la vita più facile
non doverti badare.
Epperò t’amo
e questo cuore spinge
in modo indecoroso
facendomi tremare.
Se do senza ritorno
e t’investo, mi spiace,
non mi curare,
fa’ la tua vita
consueta, non sarà
questa tarda briganza
a recarti un’offesa.

Acanti, mirti e poi limoni.
Per cosa, poi.
È che spesso
il fine travalica i mezzi
ma davvero, davvero ce ne fosse
in ogni piazza,
in ogni viale
d’ippocastano.



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chiave di lettura: nella quarta stanza si trascendono gli acanti, mirti e finanche i limoni dei poeti laureati nell’umile ippocastano dei modesti travagli quotidiani.